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19 nov 2024

Se non lo racconti e come non saperlo

Mio figlio trova una grossa formica nera sul marciapiede.

Secondo lui, si tratta di una regina che ha sciamato da poco perchè si è tolta le ali e si vedono ancora i "moncherini". Mi guarda curioso, aspettandosi una conferma. In effetti è come lui sostiene. Non mi ero mai preoccupato prima d'ora di verificare se quelle grosse formiche fossero "regine" o "operaie"...



"Papà, che specie di formica è?" mi chiede, mentre la osserviamo insieme.  La sua domanda mi sorprende, non perché non sappia la risposta, ma perché mi rendo conto che, pur sapendola, non l'ho mai detta a nessuno.

"Potrebbe essere una Camponotus," gli rispondo. Mi rendo conto dicendolo che seppur da tempo avevo questa informazione non mi era mai capitato di parlarne. Era rimasta lì, nella mia mente, in qualche meandro del mio cervello, come nascosta, quiescente.

Realizzo che non aver mai comunicato una conoscenza a qualcuno e come non saperla: la conoscenza prenda davvero forma solo quando la condividi.

Tenere un’informazione per sé è uno sterile esercizio di autoappagamento. La conoscenza acquisisce valore quando viene condivisa e messa a disposizione degli altri. Se la trattieni, rischi di perderne il senso e l’utilità, mentre comunicandola, non solo aiuti gli altri, ma arricchisci anche te stesso, trasformando il sapere in uno strumento vivo e reale che può tornare più ricca di prima, modificata, amplificata, ottimizzata.


Infatti dopo questa esperienza abbiamo approfondito, scambiato, verificato, controllato, indagato, imparato... abbiamo scoperto che non è una Camponotus ma una Messor, forse Messor capitatus. C'è ancora da imparare

 




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